Quando Umberto I, Re d’Italia andò a Napoli a visitare i malati durante l’epidemia di colera

In questi ultimi mesi stiamo assistendo a questa ormai diventata pandemia causata dal Coronavirus ma nel XIX secolo l’Italia era flagellata dal Colera, ossia quella malattia causata da batteri presenti presenti in cibi o liquidi venuti a contatto con feci umane. La malattia infatti era facile contrarla quando si andava a prendere l’acqua poiché ancora (specialmente nei quartieri più poveri) non vi erano le fognature come le consociamo noi ma vi era un canale di scolo accessibile a tutti che però spesso confluiva all’interno di pozzi dove si attingeva l’acqua per bere, cucinare e lavarsi.

L’Italia ai tempi del colera

Tra il 1884 e il 1887 nella città di Napoli così come a Genova e Cuneo improvvisamente scoppiò una pesante epidemia di colera che per la mancanza di mezzi medici adeguati fece numerose vittime tra la popolazione. Nel 1884 però ad essere colpita fu la città partenopea dove si stima una perdita di 7.994 persone morte a seguito dell’epidemia, per tal motivo i nosocomi presenti in città erano pieni di pazienti e spesso non vi erano posti per contenerli tutti. Vi erano pochi medici ma tra questi va ricordato il nome dell’anatomopatologo Luciano Armanni il quale si adoperò per prestare soccorso e aiuto ai contagiato, successivamente divenne celebre per i suoi studi sulla tubercolosi e sulla sifilide, altre due malattie abbastanza presenti all’epoca.

Vado a Napoli!

Se a Napoli si tentava in tutti i modi di arginare l’espansione del colera e si faceva la conta dei decessi, a Pordenone si festeggiava. Ebbene si, si festeggiava l’apertura di una fabbrica di cotone, una fonte di lavoro per diverse famiglie e comunque un qualcosa di nuovo che esigeva la presenza del capo di stato ma quest’ultimo però non si presentò. In che senso ? Poco prima dell’inizio della cerimonia di inaugurazione, pare che il re Umberto I, fece recapitare un telegramma che recitava così: “A Pordenone si fa festa, a Napoli si muore: vado a Napoli”. Di fatto il re si trovava a Napoli dove si recò per visitare di persona gli ammalati, cercando di portare loro una parola di conforto e il re vi tornò pur consapevole che sei anni prima, durante un’altra epidemia, l’anarchico Giovanni Passannante lo attentò in via Toledo riuscendo a ferirlo.

Il “Re Buono”

In quell’occasione però il re non si fece intimidire e continuò la sua missione tra gli ammalati senza curarsi del pericolo di contagio che vi era stando a contatto con essi. Questo gesto davvero degno di un re, venne apprezzato molto dal popolo che ad un re vi era abituato durante i gloriosi anni del Regno delle Due Sicilie, tanto che gli apposero anche un soprannome interessante: “il re buono”. A memoria di quella visita, nel quartiere di Capodimonte a Napoli vi è una stele con incisa la celebre frase di Umberto I.Oggi l’Italia è un Repubblica ma stiamo assistendo ormai da tempo ad una perdita di un’identità che prima albergava nel cuore di tutti gli italiani, chissà: forse la strada giusta era proprio la monarchia.

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