Quaresima, «il tempo» del non fare e del non mangiare ha ancora senso tutto questo ?

La Quaresima ( quaranta giorni ) è il periodo che precede la Pasqua, un tempo di astinenza e di mortificazione. In realtà la Quaresima dura 44 giorni e va dal mercoledì delle ceneri alla  messa (In Coena Domini) del giovedì santo. Nelle zone in cui è in vigore il Rito Ambrosiano, invece, il periodo di Quaresima dura esattamente 40 giorni e va dalla domenica successiva al martedì grasso (con il protrarsi del Carnevale fino al sabato della stessa settimana) al giovedì santo.

Un salto nel passato

La Quaresima è stata vissuta dalla chiesa cattolica sin dai primi secoli, come un cammino di rigida penitenza che iniziava con il rito penitenziale del Mercoledì delle Ceneri. Rito chiamato così perché, durante la celebrazione il sacerdote pone sulle teste dei fedeli le ceneri benedette. Non si tratta di ceneri qualunque, ma di quelle ricavate dalla bruciatura dei rami di ulivo benedetti nella Domenica delle Palme, dell’anno precedente. L’invito in questo periodo è di esortare i fedeli al pentimento ed alla conversione.

Ma il pentimento, da solo non basta, sono necessarie delle norme, delle regole, un tempo forse più sentite o addirittura temute: digiuno ed astinenza. Una povera alimentazione aiutava infatti, a combattere le tentazioni e la concupiscenza della carne, favorendo l’ascesi e il dominio spirituale del corpo. L’astinenza, in particolare dalla carne, risale all’Antico Testamento e per alcune circostanze allo stesso mondo pagano.

Sacrificio e digiuno ?

Per buona parte della storia della Chiesa, la carne è stata scelta come sacrificio degno per via della sua associazione a feste e celebrazioni. Nelle culture più antiche la carne era ritenuta una prelibatezza, e il “vitello grasso” non veniva ucciso a meno che non ci fosse qualcosa da festeggiare. Visto che il venerdì nel ricordo della passione e morte di Cristo era considerato un giorno di penitenza e mortificazione, mangiare carne di venerdì per “festeggiare” la morte di Cristo non sembrava opportuno.

Il digiuno si riferisce principalmente alla quantità di cibo, si fa un pasto completo e gli altri pasti della giornata molto leggeri, mentre l’astinenza riguarda ciò che si mangia. Il digiuno e l’astinenza devono essere osservati il mercoledì delle ceneri (e il primo venerdì di quaresima per il rito ambrosiano) e il venerdì della passione e morte del Signore nostro Gesù Cristo; sono consigliati il sabato santo sino alla veglia pasquale. Al digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni sino al 60° anno iniziato; alla legge dell’astinenza coloro che hanno compiuto il 14° anno di età.

Il modello da cui discende la pratica del digiuno e in genere tutte le tecniche di dominio del corpo e degli istinti, è l’imitazione del digiuno di Gesù nel deserto di Gerico per quaranta giorni: la libertà sugli istinti corporali, che di per sé sono buoni, ma debbono essere regolati. «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4).

Con l’inizio della quaresima ritornano i cosiddetti “fioretti “ e rinunce  che ci portano a domandarci se sono davvero sufficienti per vivere un cammino quaresimale.

Basta non mangiare ad esempio dolci per quaranta giorni? A chi giova la nostra astinenza dalle carni? Non potrebbe essere più efficacemente sostituita da altre forme di sacrificio, magari maggiormente attente al sociale e ai bisogni dei poveri? 

Oggi parlare di digiuno e di mortificazione della carne ci appare inattuale, sembrano forme di misticismo di altri tempi. Credo invece che dovremmo provare a ripensare un po’ a questa idea di rinuncia

In primo luogo non pensarla come espiazione: mi punisco, faccio un sacrificio per espiare un eccesso, oppure per ottenere benevolenza da Dio. Sarebbe molto riduttivo e poco comprensibile. Un modo, di concepire il digiuno potrebbe essere considerarlo come un raccogliersi nell’essenziale, come un voler spogliarsi di tutto ciò di cui si può fare a meno. Se la rinuncia è una realtà negativa, la riflessione ha una funzione positiva, perché ci permette di vedere le cose in un’altra luce e di goderne di più. Capire l’importanza del cibo, del ritrovarsi attorno ad una tavola con le persone a cui si vuole bene e pensare che non è poi così ovvio. 

 Il digiuno ci fa più attenti al prossimo. Solo se sappiamo prendere le distanze dalle cose ci accorgiamo dell’essenziale. L’amore è mancanza ed è dalla mancanza che nasce il desiderio.

In questi giorni caratterizzati dal pericolo del Corona Virus abbiamo assistito ad un ansia eccessiva per il cibo: «La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito… Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia… Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta» (Lc 12,23.29.31). 

La Conferenza Episcopale Italiana (l’assemblea di tutti i vescovi) nelle sue “disposizioni normative” del 1994, afferma che può essere opera penitenziale l’astenersi da cibi particolarmente desiderati o costosi, dal fumo o dal alcol, oppure è possibile fare un atto di carità spirituale o corporale. Ancora la lettura di un brano della Sacra Scrittura, un maggior impegno nel portare il peso delle difficoltà della vita. Anche la rinuncia ad uno spettacolo o divertimento, alle spese destinate per le feste popolari (soprattutto quelle religiose), rinunciare al lavoro frenetico che non lascia tempo per riflettere e pregare, al consumo eccessivo dei mezzi di comunicazione che può creare dipendenza e ostacolare la riflessione personale e il dialogo in famiglia. (CEI, Norme per l’applicazione della costituzione apostolica “Paenitemini” 2, 4).

Questa interpretazione della legge manifesta chiaramente come il culto cristiano non consista nell’osservanza materiale di una legge, ma nella verità dei gesti e delle parole. 

Pensiamo all’importanza di un gesto di carità che ci porta a comprendere le necessità dell’altro, riconoscendo che siamo tutti poveri di qualcosa e bisognosi dell’altro. La Quaresima ci fa scoprire la bellezza del silenzio che possiamo fare nelle nostre vite, scopriremo più tempo per pregare, per leggere, per ascoltare l’altro ma soprattutto potremmo riscoprire il contatto con noi stessi. 

Se è vissuta con un atteggiamento consapevole, la Quaresima diventa davvero, come ha scritto papa Francesco in un suo messaggio, “un tempo di rinnovamento per la Chiesa, le comunità e i singoli fedeli”, ma soprattutto “un tempo di grazia”e di attenzione agli altri. Perché, dice il Pontefice, quando “noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri”, e questa “indifferenza verso il prossimo e verso Dio e una reale tentazione anche per noi cristiani”.

Quest’anno, “il tempo”di Quaresima, come spesso ci esorta Papa Francesco, proviamo a viverlo “gridando no all’indifferenza verso i fratelli; no ad ogni tentativo di banalizzare la vita; no all’asfissia di una preghiera che ci tranquillizzi la coscienza, di un’elemosina che ci lasci soddisfatti, di un digiuno che ci faccia sentire a posto.”. 

La nostra quaresima deve essere un cammino caratterizzato dall’azione dal fare e non dalle rinunce

Nelle narrazioni evangeliche emergono una serie di verbi particolari che descrivono l’atteggiamento, lo stile e l’umanità di Gesù verso gli uomini e le donne che incontra: li guarda, li ascolta, li tocca senza timore di contagio, li prende per mano, cammina con loro, s’identifica in essi, li chiama a se.

 Non bada né alla fatica, né alla stanchezza: si dona totalmente a loro senza limiti, con amore misericordioso. Gesù ci rivela che l’incontro con l’uomo sulla via della sofferenza (cfr. Salvifici Doloris 8) è la missione che accomuna ogni discepolo. 

Queste azioni cerchiamo di farle nostre. Imitare Cristo è ciò che deve caratterizzare il nostro essere cristiani  e non solo il nostro tempo quaresimale. La radice del tempo quaresimale è nel principio del cammino messianico che comincia con un combattimento interiore. Cristo combatte contro le forze del male che lo volevano distogliere dalla relazione con il Padre. Capiamo così che il tempo di quaresima è un tempo di scelta. Essa viene a ricordarci che nella nostra esistenza non si decide una volta e per tutte se stare con Dio, ma Dio si sceglie continuamente dentro le nostre lotte quotidiane, ciò consente di aprici a Dio e agli altri per giungere davvero rinnovati ad accogliere il Risorto.

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