L’errore di rappresentare la nascita di Cristo con categorie umane e l’arianesimo dietro l’angolo!
Sta facendo discutere, in questi giorni, un’immagine – di Natalie Lennard, postata dallo scrittore Roberto Saviano la vigilia di Natale – che rappresenta la Vergine Maria durante il parto, con le gambe aperte, contratta dal dolore, assistita da san Giuseppe che regge, con la mano insanguinata, la testa del Bambino Gesù.
Certamente l’immagine (che mostriamo qui solo in un dettaglio) non è adeguata a descrivere nel migliore dei modi il mistero della Nascita di Cristo, e per certi versi risulta persino blasfema, ma soprattutto non è veritiera dal punto di vista teologico. È, infatti, la presenza di quel sangue (nell’immagine prima descritta) che metterebbe in discussione uno dei principali dogmi mariani relativo alla verginità di Maria e l’onnipotenza di Dio in essa rappresentata.
A partire dal 1978 alcuni studiosi hanno individuato nel Vangelo di Giovanni una testimonianza che conferma quanto la Chiesa ha creduto da sempre circa la verginità di Maria. In Gv 1,13 si tradusse al singolare: «…il quale non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio è stato generato»; un dettaglio, quello del sangue, che ci permette di risalire alla tradizione anticotestamentaria, dove quello stesso termine ebraico viene utilizzato in altri quattro passi che parlano del parto (Lv 12,5.7; Ez 16,6.9), e dove viene fatto un chiaro riferimento alle perdite di sangue cui va soggetta la donna nel momento del parto. Tale peculiarità femminile – secondo l’antica tradizione biblica – rendeva la donna impura, e solo dopo il parto – in seguito ad un periodo di purificazione rituale – «ella – come si legge nella Bibbia – sarà purificata dal flusso del suo sangue. Questa è la legge che riguarda la donna, quando partorisce un maschio o una femmina» (Lv 12,7).
Pertanto, non ci resta che concludere affermando che: Maria diede alla luce Gesù senza fare esperienza dei dolori del parto e senza effusione di sangue. Secondo la tradizione cristiana, infatti, la Chiesa ritiene Maria “vergine prima del parto, nel parto, dopo il parto”, sottolineando in modo inequivocabile la “verginità perpetua” di Maria. «Maria – affermava Giovanni Paolo II – è Vergine nel corpo e Vergine nel cuore, come appare dall’intenzione di vivere in profonda intimità con il Signore, decisamente manifestata al momento dell’Annunciazione. Pertanto, Colei che è invocata “Vergine fra le vergini”, costituisce senza dubbio per tutti un altissimo esempio di purezza e di dono totale al Signore».
Stando così le cose, anche le parole di commento all’immagine usate dallo scrittore Saviano risultano contraddittorie e inappropriate; non possiamo, infatti, essere d’accordo con lui nel considerare Gesù «nato tra contrazioni, dolori e sangue, come tutti. Da una madre carica di una responsabilità troppo grande, come tutte le madri. Con un padre spaventato, incerto su ciò che è giusto fare, come tutti i padri».
Corretto questo primo errore teologico – a proposito dell’immagine a cui facevamo riferimento all’inizio – bisognerebbe adesso sanare quella forzatura ideologico-culturale (presente anch’essa nel discutibile dipinto e nel commento di Saviano) che vorrebbe costringerci a riconoscere nei misteri della vita di Gesù la sola componente “umana” come prevalente. Tale considerazione sta portando alcuni (inducendoli in errore) a ripetere l’antica eresia dell’Arianesimo, il movimento teologico del IV secolo portato avanti da Ario, sacerdote di Alessandria d’Egitto (256-336), che ha subordinato la figura del Figlio Gesù a quella del Padre, riducendo la figura di Cristo ad una semplice dimensione umana.
Perché – ci chiediamo – ripetere gli errori del passato?