Gerhard Müller: «Il celibato sacerdotale non c’entra niente con la regione amazzonica»
«Il celibato sacerdotale non c’entra niente con la regione amazzonica». Piuttosto «alcuni vogliono usare e strumentalizzare questo Sinodo per promuovere una loro agenda finalizzata a dare il via libera all’ordinazione delle donne, a mettere in discussione il celibato sacerdotale e l’autorità ecclesiastica, vista come un mero potere politico». Lo ha dichiarato il cardinale Gerhard Müller, prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede, in una lunga intervista al Foglio, curata da Matteo Matzuzzi.
Secondo il cardinale Gerhard Müller, il Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica, che in questi giorni si sta svolgendo a Roma «avrà conseguenze sulla chiesa universale»; una chiesa che il Porporato definisce in crisi, «sempre più vuota, con la partecipazione domenicale ridotta ai minimi termini, i seminari e i monasteri vuoti, la catechesi nulla».
«Il celibato sacerdotale – precisa Müller nell’intervista a “Il Foglio” – si può capire solo nel contesto della missione escatologica di Gesù, che ha creato un mondo nuovo. È stata una nuova creazione. Con le categorie del secolarismo non si possono comprendere l’indissolubilità del matrimonio, così come il celibato o la verginità degli ordini religiosi. Né, con tali categorie, si possono risolvere problemi che hanno la loro origine esclusivamente nella crisi della fede. Non si tratta di reclutare più gente per amministrare i sacramenti. È necessaria una preparazione spirituale e teologica, bisogna entrare nella spiritualità degli apostoli, non prestando ascolto alle agenzie laiche che consigliano molto e su molte cose per ragioni del tutto contrastanti con la missione della Chiesa. Serve spiritualità, non mondanizzazione».
Ritornando sull’«Instrumentum laboris», il documento preparatorio del Sinodo amazzonico, il cardinale Müller – nella lunga intervista curata da Matteo Matzuzzi – precisa: «In un suo paragrafo si parla della “Madre Terra”: ma questa è un’espressione pagana. La terra viene da Dio e la nostra madre nella fede è la Chiesa. Noi siamo giustificati per la fede, la speranza e l’amore, non per l’attivismo ambientale. Certo, la custodia del creato è importante, dopotutto noi viviamo in un giardino voluto da Dio. Ma non è questo il punto dirimente. Lo è il fatto che per noi Dio è più importante. Gesù ha dato la sua vita per la salvezza degli uomini, non del pianeta».
Nelle parole del Prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede, raccolte in un articolo de “Il Foglio”, la preoccupazione che non si parli più di Cristo. «Per risolvere i problemi politici della società – dichiara, infatti, il Porporato – ci sono i parlamenti, i rappresentanti eletti dal popolo, gli esperti nei diversi campi e nelle più diverse materie […]. Ma la prima missione della Chiesa è predicare Cristo figlio di Dio. Gesù non ha detto a Pietro di occuparsi del governo dell’impero romano, non entra in dialogo con Cesare. Si è tenuto a buona distanza. Pietro non era amico di Erode o di Pilato, ma ha sofferto il martirio. È giusta la cooperazione con un governo legittimo, ma senza mai dimenticare che la missione di Pietro e dei suoi successori consiste nell’unire tutti i credenti nella fede in Cristo, che non ha raccomandato di occuparsi delle acque del Giordano o della vegetazione della Galilea».